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Mario
Bardi
pittore
BIBLIOGRAFIA
ESSENZIALE
D. CARA, Grafica
Contemporanea, Milano 1960.
L. BUDIGNA, M. Bardi su “Le
Arti”, Milano 1965, n. 5.
R. USIGLIO, M. Bardi, su
“D’Ars Agency”, Milano, anno IV, n. 5.
F. GRASSO, Artisti di
Sicilia, Palermo, 1968.
R. DE GRADA, M. Bardi, “Vie
Nuove”, 1969.
AA.VV. ENCICLOPEDIA
SEDA, Milano 1969.
N. VASILE,Bardi,
“Meridione”, a.XV, n.1 e 2.
L. BUDIGNA, Bardi,
“Meridione”, a.XV, n.3 e 4.
F. GRASSO, La Sicilia di
Mario Bardi, Roma - Caltanissetta 1970.
D. VILLANI, Pittori allo
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M. MONTEVERDI, Artisti in
vetrina, Milano.
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“Notizie d’Arte”, 1973, Milano.
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cartella di 5 litografie, Palermo 1974.
E. PIETRAFORTE,Cardinali e
Gattopardi,La Sicilia di Mario Bardi, su “L’Avanti”, 2/11/1973.
N. D'ALESSANDRO, Situazione
della Pittura in Sicilia, Palermo 1975.
R. DE GRADA, Mario Bardi,
Milano 1976.
R. CIUNI, Presentazione
della Personale “La Robinia”, Palermo 1976.
G. SEVESO, I miti del
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G. QUATRIGLIO, Palermo
nella memoria, “Giornale di Sicilia”, 6 marzo 1982.
D. VILLANI, Artisti
Contemporanei nelle Mostre di Milano del 1973/74, Milano 1980.
F. GRASSO, Ottocento e
Novecento in Sicilia, in “Storia della Sicilia”, vol.X Palermo 1981.
D. VILLANI, Il Premio
Suzzara, Milano 1986.
M. GANCI, Le devianze
barocche, Palermo 1986.
G. BONANNO, Cercando l’Arte
Contemporanea, Palermo 1986.
I. MATTARELLA, Arte
Contemporanea in SantaMaria Odigitria, Palermo 1986.
G. QUATRIGLIO, L’ambiguo
barocco di Mario Bardi, “Nuovi Quaderni del Meridione”, Palermo, agosto
1987.
G. QUATRIGLIO, Mario Bardi,
polemica su tela, “Giornale di Sicilia”, 1/3/1989.
V. CONSOLO, Guida alla città
pomposa, testo con tre incisioni di Mario Bardi, Milano 1990.
G. SEVESO, Tra cronaca e
memoria, Milano 1998.
G. BONANNO, Novecento in
Sicilia, Palermo 1990.
N. D’ALESSANDRO, Pittura in
Sicilia dal futurismo al post-moderno, Palermo 1991.
Altri scritti
e note critiche
Leonardo Sciascia, Luigi
Bonifacio, Leonardo Borgese, Rossana Bossaglia, Dino Buzzati, Antonio
Carbè, Ennio Cavallo, Matteo Collura, Nicoletta Colombo, Mario De
Micheli, Vittorio Fagone, Maria Luisa Florio, Alvarez Gonzalo
Garcia, Aldo Gerbino, Mario Lepore, Alberto Machiavello, Renzo
Margonari, Giorgio Mascherpa, Aurelio Natali, Franco Passoni,
Mario Portalupi, Gianni Prè, Franco Presicci, Edoardo Rebulla,
Giuseppe Servello, Gino Traversi, Carlo A. Galimberti.
VITTORIO FAGONE
INCONTRO CON LA REALTA’
Ho insistito molto, debbo confessarlo, presso l’autore, il collezionista
e gli amici della “Galleria 32” di Milano perché l’opera di Bardi più
significativa e nota (unanimemente lodata come la migliore del premio
Suzzara di quest’anno anche se, per esplicita dichiarazione della
giuria, non ammessa alla premiazione in quanto Bardi aveva vinto la
precedente edizione dello stesso premio) venisse esposta a Palermo.
Qui mi pare essa può essere meglio apprezzata in tutti i suoi valori:
Portella della Ginestra è un episodio cruciale della recente storia
politica e civile siciliana ma la misura del realismo di Bardi è
arrivata a coglierne certi aspetti drammatici profondi e l’ha penetrata
in un ambiente, e in una materia, così naturale che essa risulta non
solo l’animata cronaca di un tragico avvenimento ma un’immagine compiuta
e viva del mondo siciliano.
La pittura di Bardi cerca ormai di legarsi a questi risultati; essa
affonda di continuo radici nei movimenti della storia e del costume
siciliani, controllata e attenta però a non franare in mitologie, retoriche,
didascalie.
E' anche per questo che il nome di Bardi ricorre di frequente nei
numerosi e sempre più espliciti riferimenti al gruppo ormai folto di
pittori della nuova generazione, operanti a Milano, che accettando e
superando l’onesta esperienza del realismo del dopoguerra (alla fine
rigido e impigliato in un apparato ideologico privo di vitali dinamismi)
sembrano voler ritrovare la via di un incontro con la realtà dove la
proposta umanistica, prima ancora di quella figurativa, è compiutamente
dichiarata. (1965)
RENATA USIGLIO
IL LATO EPICO DELLA STORIA SICILIANA
Forse l’orrore del
vuoto ha suggerito all’uomo l’invenzione della categoria tempo: ma non
ha valore assoluto l’ieri come contrapposizione all’oggi e al domani.
L’individuo uomo vive in una dimensione intessuta del ricordo del
passato, dell’azione attuale, dell'attesa e speranza nell’avvenire.
Tanto più che si vive nel presente quanto più si opera nella conoscenza
della propria storia e delle premesse di ciò che sarà dopo di noi; e
“moderni” si è proprio nell’approfondita coscienza dei legami con le
vicende antiche e recenti che sono alle nostre spalle. Bardi che da anni
vive nell’Italia settentrionale, a Torino prima e ora a Milano, sente
acutamente la necessità di un legame col paese d’origine – che è un modo
di essere se stessi sul piano artistico ed umano – attraverso un
impianto contenutistico. Interessato alla revisione critica che si viene
operando sulla nostra storia nazionale, rivive appassionatamente le
pagine più risentite del risveglio dell’isola in chiave risorgimentale,
trasferendo il frutto delle sue conoscenze filosofico-storico-letterarie
sul piano della sua produzione pittorica.
Tutto un gruppo di artisti siciliani è interessato alla piena coscienza
delle proprie radici culturali, da Baragli a Caruso, da Carpintieri a
Spinoccia. In Bardi si accentua, se mai, l’inclinazione per il lato
epico della storia siciliana. (1965)
LEONARDO SCIASCIA
NON C’E’ NIENTE NELLA SUA PITTURA
CHE LA SICILIA NON POSSA SPIEGARE
I
temi storici e di cronaca, della storia e della cronaca siciliana, che
Bardi svolge nella sua pittura con profonda coerenza e ostinazione, sono
la principale ragione per cui posso dire qualcosa dei suoi quadri. La
seconda ragione è, naturalmente, che i suoi quadri mi piacciono, al di
là dei temi, al di la dei contenuti, e che sono convinto che egli è tra
i pittori della sua generazione (che è poi la mia) uno dei più maturi e
dei migliori.
Più di una volta mi sono trovato a scrivere di pittori siciliani: non da
critico d’arte, beninteso, ma da uomo che con altri mezzi lavora a
rappresentare la realtà siciliana. Per cui il mio discorso, che
pregiudizialmente altro non voleva essere che un gesto di solidarietà,
poteva o meno avere una sua validità nella misura in cui il rapporto del
pittore con la realtà siciliana era più o meno effettuale.
Ma con Bardi mi trovo in una più precisa congenialità.
Quando ancora non ci conoscevamo di persona, ci siamo conosciuti su un
tema comune: la sua prima cosa che ho visto era una battaglia
garibaldina; la prima mia cosa che lui ha letto era un racconto sulla
cosiddetta “diversione di Corleone” che consentì a Garibaldi di prendere
Palermo. E già questo girare intorno alla spedizione garibaldina come
intorno ad un giuoco (piuttosto greve) dell’errore, a tentare di
scoprirlo e di scriverlo almeno nella nostra coscienza è un fondamentale
elemento di affinità.
E poi altri punti nodali della storia siciliana e della cronaca: i fasci
socialisti, il separatismo, Portella della Ginestra, la mafia – ma visti
dal di dentro, nelle dolorose implicazioni della nostra responsabilità.
A questi punti dolenti della realtà siciliana e della coscienza
individuale e collettiva dei siciliani, Bardi ovviamente perviene
attraverso un ordine di esperienze e di scelte diverse di quelle di uno
scrittore, e più immediate (anche se avvertite e sostenute dalla
partecipazione a quella particolare cultura di cui molto prematuramente
Gentile stese l’atto di morte). Non c’è niente nella sua pittura che la
Sicilia, a riscontro, non possa spiegare: e non soltanto negli
avvenimenti, nei fatti, ma anche e soprattutto nel modo di essere, e nel
suo modo di essere pittore.
E poiché non si può parlare di un pittore senza toccare intrinsecamente
il suo modo di essere pittore, voglio subito dire quella che a me pare
la più positiva particolarità di Bardi: che pur volgendosi a temi che
sono stati e sono di Guttuso, la sua pittura risulta totalmente
affrancata da ogni suggestione guttusiana. Che non è poco, considerando
quale grande personalità sia quella di Guttuso e quanta naturale
attrazione, per il provenire da una uguale cultura figurativa popolare e
no, può esercitare su un siciliano. E non è che Bardi non abbia appreso
niente di Guttuso, solo che lo ha appreso bene: tanto bene che appunto
non si vede (a parte, si capisce, la lezione di impegno civile: che si
vede).
A dar senso a questa considerazione occorrerebbe far discorso sul colore
di Bardi, che è la sua più forte peculiarità. Un colore che nelle sue
accensioni e preziosità dà il senso di provenire dal nero e di aspirare
al nero: quasi “sviluppato” dal nero, insomma; e, svelato e sospeso per
un momento, per un momento folgorato, dovesse di nuovo riassorbirsi nel
nero. Ma questa è soltanto una sensazione. E ci vuol altro per fare quel
discorso che la pittura di Bardi merita.
(1967)
MARIO DE MICHELI
LA VIRTU’ EVOCATIVA
Bardi è un pittore narrativo. Nella narrazione la sua fantasia
s’accende, si dispiega, trova la propria misura. Mi pare che questa
mostra, che raccoglie la sua produzione dai primi giorni dell’arrivo
nella capitale lombarda ad oggi, ribadisca egregiamente tale verità,
rendendola di primaria evidenza: dalle navi rugginose all’ancora in mari
piatti e desolati, dove si sfogava la sua iniziale nostalgia siciliana
senza per altro ch’egli rifiutasse le nebbiose tristezze padane, ai suoi
personaggi monumentali seduti al tavolo dell’osteria; dalle battaglie e
dalle lotte contadine della sua isola ai quadri eseguiti recentemente.
Persino quando dipinge una natura morta Bardi racconta. Il che non vuol
dire che la sua pittura sia semplicemente descrittiva o episodica. Egli
conosce la virtù evocativa del colore, possiede sempre una visione ed
una emozione di fondo, che gli consente d’imporre al racconto una
sintesi plastica, e in più sa combinare la sua naturale dote epica con
opportuni accenti lirici.
Bardi non è un artista che ami correre dietro alle sperimentazioni. Il
suo problema è quello di enunciare suggestivamente e esplicitamente il
senso di una storia, il significato di un giudizio, la forza dei suoi
sentimenti e delle sue convinzioni. Per far questo ha quindi bisogno di
un linguaggio senza sofismi, un linguaggio diretto, non tuttavia
semplicistico, risultato al contrario di un filtro stilistico elaborato
con una particolare coscienza dell’impegno formale, nonché di una
visione che non è mai vaga o approssimativa, bensì circostanziata e
aderente.
L’inclinazione di Bardi per la storia o il racconto non dipende da una
scelta di gusto. Dipende da ragioni più meditate, da certe sue radici
popolari, da un suo fresco impulso verso le vicende tragiche ed eroiche
della sua gente. Vi sono alcune delle sue tele a cui senz’altro ben
s’accompagnerebbe il commento di un cantastorie.
Eppure sbaglierebbe chi credesse di vedere nel lavoro di Bardi il segno
del folklore o dell’esotismo. I personaggi di Bardi sono visti con
occhio assai diverso, hanno uno spessore autentico, un volto e una
fisionomia nati da un passato e da un presente “vero”. Tutto ciò dà alla
sua vena narrativa un sapore schietto, immediato che il linguaggio
figurativo trasmette con spontaneità ed estro. Vorrei dire che le
qualità di Bardi vivono nelle sue immagini senza mai forzare i termini
dell’invenzione, senza mai rompere la misura del discorso. Quando
l’occhio si posa sulle sue tele l’impressione che se ne riceve è quella
di una felice scioltezza di modi: in tale scioltezza si sono dissolti,
appunto, i problemi spinosi dell’espressione, le difficoltà e le
incertezze. Ciò però non significa che non vi siano stati. Il fatto che
egli riesca a risolverli in un tessuto narrativo così articolato è una
sua peculiare virtù.
Osservando alcune delle ultime tele, dipinte tra l’autunno e l’inverno
di quest’anno, si può notare l’affermarsi di un colore più intenso e
vibrante, di una strutturazione più incisa dell’immagine. Forse la
pittura di Bardi sta per iniziare un nuovo ciclo, inaugurando una nuova
stagione. Ma indubbiamente, credo, in qualsiasi direzione egli si
muoverà, non potrà mai essere una direzione che muti la sorgente della
sua ispirazione, la sostanza del suo mondo poetico. Bardi sarà quello
che è, anche se il futuro si prepara per lui propizio e folto
d’interessi. Sarà cioè, anche in futuro, un pittore che non si stancherà
mai di raccontare le storie dolci o terribili degli uomini. (1968)
ALFONSO GATTO
LA GRAFICA DI BARDI
Nel
mondo e nella grazia puntuale di Bardi sono tratti a esempi di vita
scenica e pittorica anche indugi e analisi e meditazioni più propriamente
idillici, evocati, si direbbe, da un passato prossimo che è ancora
presente e fresco di scoperte emotive.
Si guardi alla litografia delle carrozzelle, così nitida negli spazi del
cielo e delle architetture. Si guardi anche e sempre alla festosità,
tutt'altro che generica, degli arabeschi, dei parati gioiosi che
interferiscono sugli imperativi caratterizzati delle figure, dei volti e
degli emblemi storici. Evidentemente, nel Bardi, la coesistenza
immaginativa e fantastica dell’emozione visiva e della eloquenza culturale
è propria, autentica della sua storia e della sua memoria intrinseca di
uomo del Sud, partecipe sia dell’assunzione figurale delle idee, sia del
loro rapido decadere e spogliarsi nella malinconia del relitto araldico,
cui resti un vano orgoglio di immagine rappresentata nel gioco delle
parti.
Da queste litografie, per l’ampio gesto degli spazi divisi e "tenuti"
sintatticamente dalla pagina grafica, per l’amoroso indugio dei
particolari, per la toccante nettezza dei timbri coloristici, crediamo che
l’immagine del pittore di Palermo riceva, quale verifica, una conferma
critica della sua piena identità, quale gli va riconosciuta: intendiamo
non quella di un pittore nato per caso, senza radici culturali, in un
qualsiasi paese, ma l’altra, tutta sua e propria, di pittore meridionale
dentro la sua storia, dentro le origini, e liberamente esposto a ricevere
e a dare gli interrogativi dell’arte di oggi, fatta di inquietudine, di
consapevolezza e di inconscio, di denuncia e di suggestione per i miti
oppressivi, di gioco, quale estremo azzardo di esperienza e di calcolo.
(1974)
RAFFAELE DE GRADA
LE CONQUISTE DI BARDI
Non sono tanti gli artisti che sono disposti a frugare nel loro intimo.
Pochissimi quelli che sono disposti a portare il proprio intimo sul
teatro della società. Tra questi,come un domatore che porta le immagini
a colpi di frusta sul palcoscenico, conosco Mario Bardi. Siciliano,
palermitano, ha partecipato (e allora l'ho conosciuto), sia pure
marginalmente, agli ultimi esiti del movimento realista che si esaurì
nella prima metà degli anni sessanta. Quando tutti si dileguavano, Bardi
tenne duro sulle posizioni di partenza, guadagnandosi una grande stima
di coerenza. In realtà Bardi non poteva soggiacere all'umiliazione
dell'arte— teatro che avvenne alla fine degli anni sessanta. Con la sua
irrruenza siciliana non poté sopportare l'aria da "nursery" che andava
acclimatandosi presso di noi. A rischio di parere un eclettico,
rinunciando di adattarsi a uno degli stili (allora si diceva "tendenze")
prefabbricati, tentò una serie di strade, con un'i dea secessionista
della pittura, secessione da tutto e da tutti. La radice pittorica di
Bardi sta infatti nella tendenza generale del realismo italiano,
nell'arte che si apre ai contenuti del costume e della vita sociale. In
Bardi, siciliano, hanno sempre contato molto i fatti e le sorti della
propria isola, tormentata dalla mafia e dai difficili rapporti sociali,
che troppo spesso si sono risolti con l'emigrazione.
Bardi tuttavia non si è mai indugiato a trattare con descrizione
sociologica questi temi. Li ha invece esaltati in una evocazione
fantastica trattandoli con una simbologia accesa, talvolta mostruosa, ma
sempre strettamente figurativa cosicché i simboli fossero chiari per
tutti. £' una forma attuale di "espressionismo" questa di fare apparire
le cose del mondo attraverso le luci e i colori, le linee tormentate
delle descrizioni che si servono di impaginazioni rotte e multiple, in
cui l'emozione prende corpo non tanto dai soggetti quanto dal modo come
essi vengono suggeriti.
Negli ultimi anni Mario Bardi ha cercato di contenere il suo rigore
compositivo in dimensioni più classiche, trasferendo da un ambito
intellettuale a una più riposata contemplazione i suoi soggetti. I rossi
cardinali, i nudi ossessivi, le limonaie, gli scorci di palazzi barocchi
vengono a comporre insieme architetture di spazi, quasi "nature morte"
di brani di vita. Chi ricorda le sue ultime mostre milanesi sarà
piuttosto stupito di ritrovare un Bardi così contenuto nella sua ben
nota esuberanza. E' un dato comune nell'arte italiana la convinzione
universale che è passata la stagione dell'informe e del disordine
antìpittorico. Tutti quelli che possono si sono rimessi a dipingere, ben
sapendo che è nell'ambito della pittura che deve e può spaziare la
fantasia, ma l'emozione è pittorica e alla pittura ritorna l'onore del
mestiere ieri appannaggio del disprezzato artigiano.
Pertanto, presentando questa mostra di Bardi, voglio richiamare il
pubblico che lo ha conosciuto alla constatazione della maggiore
intensità pittorica di questo artista. E' un artista che si è
maturato (ciò non toglie niente alla sua precedente esperienza) nella
lunga riflessione di studio e nella convinzione che i contenuti devono
diventare carne della carne pittorica, perdendo quel tanto di
superficialità che le radici realiste avevano mantenuto alla pittura.
Così gli è stato chiaro che il "barocco" (un mondo più che uno stile)
può prendere corpo anche da fattori drammatici e non soltanto
decorativi. In fondo c'è stata una tendenza,specialmente nel
Mezzogiorno, a prendere atto del viluppo delle cose come fattore dì alta
decorazione. Ciò corrisponde al lassismo di fronte agli eventi,
all'atteggiamento di chi non vuol pensare di più di quanto l'occasione
comandi. Liberarsi da questa tendenza, approfondire,anche riducendo il
tema, il fattore di realtà che si è portati ad esprimere, è un gran
merito di alcuni pittori, non tanti, che hanno vissuto
intensamente la realtà drammatica ma anche felicissima del mezzogiorno.
Tra questi Mario Bardi è riuscito a disegnarsi una personalità viva e
originale. Le immagini di Bardi ci appaiono come avvolte nelle liane di
una foresta tropicale, radure di luce nell'oscurità felpata che sembra
graviti intorno. Il quadro di Bardi non entra nell'ambiente, lo crea con
l'eccentrica esaltazione delle forme.
Qual è allora la sua "tendenza" ? Mi sembra che in questo periodo gli
artisti non vogliano assoggettarsi a poetiche comuni, data la stanchezza
che lo schematismo contemporaneo ha comportato.
Come dopo il temporale si vedono più netti i profili delle montagne in
lontananza, così oggi noi scorgiamo, ai diversi livelli, i valori di
quelli che hanno creduto nella pittura per raccontare ciò che hanno
conosciuto del mondo, del particulare in cui è stato loro dato di
vivere. E' questa una nuova "tendenza" o meglio è questo ciò che noi
potremmo chiamare "realismo" dell'oggi ? Se così già fosse, Bardi
sarebbe uno dei primi a potere essere così definito. (1984)
GIORGIO SEVESO
TRA CRONACA E MEMORIA
Mario Bardi è stato un protagonista significativo di quella storia tutta
ancora da scrivere, gremitissima di fatti e personaggi anche rilevanti,
della “salita” a Milano degli artisti siciliani: una storia ricca e
complessa, lunga almeno un secolo, i cui protagonisti hanno trovato, in
tempi e modi diversissimi tra loro ciascuno una sua collocazione nella
multiforme geografia dell’arte di questa città. E l’hanno a tal punto
trovata (anzi, conquistata e meritata) che senza la loro presenza il
panorama artistico milanese, con il suo intreccio fitto e dialettico di
interazioni e di approfondimenti, certamente perderebbe alcune delle sue
caratteristiche di fondo.
In questa storia da scrivere Mario Bardi avrà sicuramente un capitolo
tutto suo. C’era in lui infatti un particolarissimo impasto di nordicità e
sicilianità, di temperamenti ed atteggiamenti diversissimi, che sono
diventati nella sua espressività figurativa una caratteristica segnica e
poetica, appunto, estremamente personale.
i tratta di un’alchimia difficilmente ripetibile e ricostruibile, di un
magico precipitato di idee e di sentimenti, di memoria e di coscienza, che
riesce a miscelare tra loro sempre fruttuosamente le vetuste rotondità
barocche o le asprezze solari e mediterranee della Sicilia con l’acido
disincanto di uno sguardo lombardo. E allora ecco che i miti e l’eros, che
i segni e i volti del Potere occulto o manifesto, che gli oggetti e i
panorami del quotidiano possono farsi come distanti, come “estraniati”
direbbe Brecht, e si caricano di una valenza simbolica tutta interna al
tessuto stesso dell’immagine.
La sua pittura e i suoi disegni sono uno sguardo di realismo rivolto al
pensiero delle cose, ma anche una sorta di aspra, sensuosa sensibilità del
vivere e del fantasticare. “Non c’è niente nelle sue immagini”, ha scritto
Sciascia di lui, “che la Sicilia non possa spiegare”. E difatti è la
Sicilia il perno interiore sul quale ruota ogni cosa dei colori, del suo
segno, delle sue liquide metafore di spazi, corpi, luci e tempi. Ma anche,
dicevo, è Milano a dargli quella sua pensosa densità, quella sua
concretezza asciutta e precisa.
Il figurare di Bardi per oltre sessant’anni ha traversato parecchie
stagioni (talune più barocche talune appunto più “realistiche”) senza mai
abbandonarsi alle oscillazioni del gusto, sempre assorto ai suoi veri
motivi interiori, quando più melanconici o esistenzialistici, quando più
turgidamente e sensualmente figurativi. In tutti, ancora, un suo modo, una
sua cifra sempre riconoscibile, anche nel minimo bozzetto o disegno a
matita: una sua sintesi, mai contratta o meramente riassuntiva del segno
d’immagine, tra cronaca e memoria, tra racconto e contemplazione.
(1998)
ENNIO CAVALLO
MARIO BARDI: ASCENDENTI E CONSEGUENZE
Prima di tutto, e per dissipare qualsiasi dubbio, vorrei fare un atto di
fede per l'intera opera di M.Bardi. Userò, a tale proposito, un
giudizio che Leonardo Sciascia ebbe a scrivere di lui nel 1967: "... ci vuole ben altro per fare quel discorso che la pittura di Bardi merita."
E qui "ben altro" non è certamente "il barocco" in cui alcune voci
sterili e riduttive hanno racchiuso la sua lunga produzione artistica.
Questi ultimi lustri del nostro secolo sono stati anni di grande
travaglio, densi di novità, di straordinaria importanza per il formarsi
di una coscienza artistica moderna. Sono stati gli anni che hanno visto
false ascese e deludenti tramonti. Ed è proprio in questo clima, di
lizze inutili che Mario Bardi accende ed alimenta il suo fuoco
anteponendo sensibilità, pensiero e una felicità naturalistica, semplice
e schietta, a certe scelte di moda. Ora questo suo mondo apparentemente
elementare cessa di esserlo allorché ci si rende conto che la fortissima
linfa naturalistica, anziché fare dell'artista importatore di tendenze
esterne, astratte dal suo ambiente, acquista senza quasi bisogno di
mediazioni intellettuali il valore di tendenza storica: tale da porre
l'artista in rapporto critico con il suo stesso ambiente.
Inseguendo
situazioni legate al corso della sua vita emotiva Mario Bardi riesce a
renderle con opere che, in virtù di una pura forza interiore, lasciano
chiaramente decifrare una massiccia concezione dei più urgenti problemi
dell'uomo, dal potere alla povertà, diventandone cosciente nell'atto
stesso in cui il suo bisogno artistico lo delinea nell'opera compiuta.
E, con ogni sua opera, Bardi riafferma il principio per cui non concetti
astratti o prevenute concezioni filosofiche siano da riportare sulla
tela, ma la conoscenza della realtà... le cose così come sono, indagate
ed esplorate nel loro luogo, spazio e luce. Le cose, da sole, esprimono
idee, filosofia e storia, perché da esse si sprigiona il presente e il
suo suono, la nuova condizione umana, i nuovi concreti rapporti tra gli
uomini e degli uomini con le cose, e la storia. Nasce così una pittura
che smantella le gerarchie, più idonea ad accostare la realtà, a
scrostarla da ideologie e falsi decori. Ed è notevole In Bardi il fatto
che in tempi di totale disattenzione tocca a lui, artista sensibile,
cercarsi i propri ascendenti per tirarne da solo le conseguenze,
immettendo elementi culturali che lo collegano idealmente alle proprie esigenze.
A questo punto il suo campo d'azione si estende improvvisamente, vi
scorazza senza contraddirsi, precisando i termini della sua proposta e
rendendoli sempre più convincenti man mano che acquista capacità di
integrare il proprio contributo in una situazione storico sociale. Tutto
allora diventa sonoro, scandito, concreto: gesti, sentimenti,
spazio,volumi, luce e colori si concretizzano in elaborazioni di
facile lettura, nelle quali all'apparente semplicità corrisponde
un'articolazione immaginosa e sorvegliata,.una scienza di ritmi, di
accordi, di corrispondenza tra gli spazi, una sapiente distribuzione
degli accenti ed un disegno estremamente vigile e calibrato. Per chi
frequenta il suo studio non è difficile accorgersi che quel suo modo
artigianale di dipingere fiori e frutta esige una grande forza morale ed interiore che diventa arnia per un nuovo realismo.
Per Mario Bardi non si
tratta di avanzare ipotesi, ma di affermare il significato oggettivo di
nuovi contenuti, di una pittura stretta alle cose reali, nata
dall'osservazione inalienata del reale. Tutto può diventare dunque
soggetto di un'opera che si può ben strutturare attraverso un gesto,
un'inclinazione della testa, un volteggio di pieghe. Ogni parte in sé
contiene dunque la struttura generale e ciò gli consente di avvicinare
ritratti, scene sacre, fiori e frutti con lo stesso straordinario plasticismo e spesso con una suggestiva grandezza, poiché il tutto è
insito nell'armonia dei suoi colori e nella particolare natura del suo
lavoro: armonia rara e sottile, composta di una specifica scelta di toni
ed a una personale maniera dì impiegarli. La sua è una pittura raffinata
la cui materia contiene in fondo una certa purità cristallina, E
sfogliando i diversi cataloghi relativi alle esposizioni di Mario Bardi
ancora una volta ci si può rendere conto che in tutti i tempi ci sono
stati pittori realisti, che sono stati grandi artisti, e questo non
perché abbiano riprodotto la realtà in modo illusorio, bensì perché
l'hanno interpretata, veduta e sentita ribaltando verso il prossimo ciò
che a loro sembra l'essenza. (1990) |
Alcune
testimonianze
critiche
Vittorio Fagone (1965)
Renata Usiglio (1965)
Leonardo Sciascia (1967)
Mario De Micheli (1968)
Raffaele De Grada (1984)
Alfonso Gatto (1974)
Ennio Cavallo (1990)
Giorgio Seveso (1998)
Bibliografia
Bibliografia
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